robin morabito

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Selected poems

Bryndísa

Stalattiti eccentriche

Stalattiti eccentriche

Di gelide pozze salate, come
laghi tra dune di tenebra -
cimitero di carapaci svuotati e
folti grumi di laminarie accasciate
lì attorno - ricorderò il fioco
riflesso, l’odore pungente,
quando la marea tornerà a
disgregarne i contorni, a levigarne
le ombre. L’oceano lambirà
nuovamente il ciglione roccioso,
dove adesso la neve protende
le f

Di gelide pozze salate, come
laghi tra dune di tenebra -
cimitero di carapaci svuotati e
folti grumi di laminarie accasciate
lì attorno - ricorderò il fioco
riflesso, l’odore pungente,
quando la marea tornerà a
disgregarne i contorni, a levigarne
le ombre. L’oceano lambirà
nuovamente il ciglione roccioso,
dove adesso la neve protende
le fauci stremate al tramonto.


Ricordati però le nostre orme
sulla sabbia zuppa, quando fummo
tra le alghe ed i gusci disfatti -
memorie di guerre più antiche
dei nomi con cui le chiamiamo,
combattute in abissi remoti
di ere perenni e celate agli occhi
nostri feroci, condannati al
presente. Calpestammo il fondale
che il mare ha celato poi dopo. 

Stalattiti eccentriche

Stalattiti eccentriche

Stalattiti eccentriche

Che fare della vita
che mostri appena
in un cenno fugace
un sorriso stentato,
per sferzarlo poi forte
come falce [affilata]
sopra il sangue secco
a mietere ancora
la carne?


          Io nulla, più
nulla – sarò legno
nel fiume, calcare
che gocciola al fondo
della terra imbevuta
di dolore.

Jeden tag einmal

Stalattiti eccentriche

Jeden tag einmal

Scolpisco ogni giorno
la pietra – raschiando
la colpa che porto
di Adamo e quelle
più spesse, ma mie.


Mi aspetto, Rebecca, che
gli altri barcollino al buio
dei vuoti, che intanto
propongo a spiegare ciò
che io non posso, alla stregua di me.
Sì spero tu possa capire
-magari non ora, ma un giorno,
financo all’estremo del tempo.


Basta che tu c

Scolpisco ogni giorno
la pietra – raschiando
la colpa che porto
di Adamo e quelle
più spesse, ma mie.


Mi aspetto, Rebecca, che
gli altri barcollino al buio
dei vuoti, che intanto
propongo a spiegare ciò
che io non posso, alla stregua di me.
Sì spero tu possa capire
-magari non ora, ma un giorno,
financo all’estremo del tempo.


Basta che tu capisca.


Che serve tempo a capire,
a stringersi i fianchi con
mani più vere e sentire
di essere, senza scomparire.
Che il cuore sapeva, e gridava
da tempo sepolto
da carta e silicio ciò
che con inganno la mente
ingoiava e sputava in continuo.


Se fossi lo stesso che ero,
la pietra che scheggio cercando
le forme più tue non
sarebbe che il masso di allora.


Ma intanto, Rebecca, il cuore
deluso conferma che gli occhi
e la mente non sanno carpire,
e al buio incapaci ritentano
invano di scolpir le tue forme,
di toccarti con mano.


E intanto, Rebecca, le gole
voraci dei giorni trangugiano
sangue, divoran la pietra
dall’interno del masso.


La tregua che dà sollevare,
invitare, accostarsi alle pietre
degli altri – calcolarsi in
difetto, spiegarsi soltanto
nell’ambito specie-specifico -
ha il potere sublime di smuovere
il cuore dal petto, e gettarlo
rabbioso alle gole.

Ma può nulla se
il resto proietta sul fondo
altre ombre di fili sottili.


Uno cerca una forma, nel
masso. Non la trova fin quando
non si mette a cercare tutt’altro.
Così ti trovai, e di certo
ti ritroverei altre mille
e milioni di volte.


(Eppure mi aspetto di
scorger medesime forme
in ogni altro masso?)


Ogni giorno, Rebecca, ha percorso la mano
la pietra, aspettandosi un segno
- una crepa, un’insenatura -
che indicasse da dove iniziare.
Nel tempo, quel gesto ha
saputo ancorare la mano
(ed il cuore che cerca) alle forme
che esistono oltre.


Solo il gesto, devoto come un
rituale, ha potuto legare
ogni tempo alla oscura
matrice, la consapevolezza.
Ma ogni tempo legato non basta:
il cuore distrutto contempla
la fine – si aspettava di più
dalla mano, dopo l’arduo cercare.
Si aspettava un’unica foce
per milioni di corsi, ma
trova ancora il dover cominciare
da capo a cercare.


Se sapessi di ciò, rideresti.
Riderebbe anche dio, se sentisse
le suppliche dei figli di Adamo.
Ridereste, suppongo, per affini motivi.


Posso attendere. Ogni giorno la
mano accarezza la pietra.
Non direi che trovarti dovunque
sia un’abilità, è più forse
un mestiere. È pazienza,
è saper aspettare. È aspettarsi
che solo la vita possa
esser d’intralcio. Che il cuore
marcisca in silenzio comunque,
a dispetto del viaggio.


Volerti cercare, piuttosto,
questo sì che assomiglia
ad un’arte. È creare scenari,
popolarli di vite non mie ed
innescarle, seguendone i guizzi
vivaci e vederle poi spegnersi.
È un monologo eterno sull’orma
lasciata da te, definirne i contorni.


Non so più qui, Rebecca, se
impazzisco o mi sto avvicinando.
Ho sentito una voce nel marmo,
ho pensato mi stessi chiamando.
Vado avanti? D’accordo, profano
anche questa certezza ed assumo
di starmi sbagliando – commetto l’errore
degli altri, di arretrare dopo un
passo soltanto.


So bene che dissi.
Di non farmi entrare, se
fossi tornato a bussare alla
porta. So che non
lo farai. So che non c’è
ritorno se è Adamo
che ha scelto la mela.


Ma oggi, Rebecca, ho scorto
una crepa nel marmo.
Ho ripreso da lì
a cercarti la bocca,
le spalle, i capelli - che
magari riesco stavolta
a toccarti con mano.

Rovine

Rematori stanchi

Jeden tag einmal

In orge di corpi
cozzano gli occhi,
già che mani non
toccano pelli
e seni disfatti
dal caldo.
A stomaco pieno
la fame del bianco
si erode – e torna
la mano di linfa
a graffiar via la
carne. Ch’ero legno
lo seppi, e ignorai
trasparenti ragioni
per molto – attendendo
cortecce più spesse.
Ma alberi, e stelle,
e suoni, e ogni cosa
ripete lo s

In orge di corpi
cozzano gli occhi,
già che mani non
toccano pelli
e seni disfatti
dal caldo.
A stomaco pieno
la fame del bianco
si erode – e torna
la mano di linfa
a graffiar via la
carne. Ch’ero legno
lo seppi, e ignorai
trasparenti ragioni
per molto – attendendo
cortecce più spesse.
Ma alberi, e stelle,
e suoni, e ogni cosa
ripete lo stesso.


Stagioni di pietre
impilate, come eco
di tonfi nell’erba,
per scorgere il male
ancestrale – avvertirlo
nel petto alla sera,
sotto il legno che il ferro
stentato scalfisce. 

Sirio

Rematori stanchi

Rematori stanchi

Che io abbia offerto
al concerto binario una legge,
un diagramma, non ha
rilevanza.
      La foga [forza], tempesta
      sommessa nei corpi, logora
      a fondo nel cuoio scomposto
      dei giorni.
                E pur se si assembra
                più stanca, a lasciarsi
                spogliare, non cola la polpa
                sua amara e ancestrale.

Rematori stanchi

Rematori stanchi

Rematori stanchi

La luna sorgerà ancora
sulla terra zuppa dei giorni
antichi, sugli insignificanti
fardelli di ciascuno,
portandosi appresso le
ragioni e i moti sospirati
del defunto giorno.
Solo all’ennesimo aprire
le persiane se ne coglie un momento
il marcio frutto, e subito
lo sguardo offeso schiva
l’aspro sapore in un singulto.

Estenditi

Il minatore

Il minatore

Ma tu continua e voltati,
ho sporto lo sguardo più lontano
per guardarmi la schiena.
E intanto le pedine sulla strada
a mangiarsi la regina
ho mosso ebbro -scacco.
Frena in salita per paura della velocità
del resto, che bei ciottoli la strada!
Che polvere e che belle macchie intorno!
Nemmeno fino sopra la salita.
Sogna cambiamenti che non

Ma tu continua e voltati,
ho sporto lo sguardo più lontano
per guardarmi la schiena.
E intanto le pedine sulla strada
a mangiarsi la regina
ho mosso ebbro -scacco.
Frena in salita per paura della velocità
del resto, che bei ciottoli la strada!
Che polvere e che belle macchie intorno!
Nemmeno fino sopra la salita.
Sogna cambiamenti che non vuoi
la notte, fa che sia il momento della fuga.
Sediamoci al nostro tavolo da soli
ordiniamo il sushi più crudo
mastichiamo l’accordo più muto
di musica sanguigna.
Massaggiamoci la gola per strozzarci a vicenda
senza l’ingiustizia del parlare.
Costringimi a girare la testa
per voltarmi e vederti dietro la schiena
senz’altro notare che te
-nell’avido cercare non trovo nient’altro
che i segni raschiati dal passeggiare.

Il minatore

Il minatore

Il minatore

Pareva di pietra lui pure,
tozzo, col naso assuefatto all’odore
del suolo, a metà tra la tiepida landa
scaldata dal sole e il cuore
rovente di Gaia.
È freddo il ventre di Gaia, e il cuore
suo immenso ed ignaro brucia più giù.
Ma lui non lo sa,
assuefatto al lavoro stremante,
non conosce né il sole
-è sveglio, ogni giorno, molto prima
che 

Pareva di pietra lui pure,
tozzo, col naso assuefatto all’odore
del suolo, a metà tra la tiepida landa
scaldata dal sole e il cuore
rovente di Gaia.
È freddo il ventre di Gaia, e il cuore
suo immenso ed ignaro brucia più giù.
Ma lui non lo sa,
assuefatto al lavoro stremante,
non conosce né il sole
-è sveglio, ogni giorno, molto prima
che sorga-
né certo alcun altro calore.


Scavare. È fredda la pietra
e il piccone. Scavare e colpire
nel ventre di Gaia
e non provare piacere,
colpire la pietra, scavare,
cercare e non trovare piacere.
È gelida Gaia, il ventre si lascia scavare
ma senza emozione.
Così che a cercare nel cuor delle cose
si perde ogni foga, e intanto
si annienta sé stessi e la pietra,
muto impassibile ventre del tutto.


E lui non lo sa, ha finito coi
colpi un’altra giornata nascosto alla luce,
protetto ed usato dal ventre
-si è lasciato scavare lui pure, ma
nulla del suo corpo mortale
è solido come la pietra di Gaia.

Amico

Il minatore

Ciliegia

Una volta ti dissi,
ubriaco, sdraiato all’ombra scarna
dei cipressi sulle rive del lago:
non innamorarti.
Forse tu oggi ci pensi, e sorridi,
abbracciato alla tua donna
ma amico, dicevo sul serio.
Passavo giornate a
sudare e soffrire, stordito dal caldo
a pensare a un modo per
dimenticare. Tu, avido di vita,
l’hai trovata per caso, e vale

Una volta ti dissi,
ubriaco, sdraiato all’ombra scarna
dei cipressi sulle rive del lago:
non innamorarti.
Forse tu oggi ci pensi, e sorridi,
abbracciato alla tua donna
ma amico, dicevo sul serio.
Passavo giornate a
sudare e soffrire, stordito dal caldo
a pensare a un modo per
dimenticare. Tu, avido di vita,
l’hai trovata per caso, e vale
tanto quanto le aspre pietre
del lago. L’hai trovata negli
occhi verdi di una ragazza,
che riempie la tua anima
e muove il tuo cuore.
Così arrotoli sigarette fumando
i tuoi giorni. Io sono ancora
sdraiato ubriaco, all’ombra
spoglia dei rami, striato dai raggi
del sole di maggio. Ma è tutto
un modo per non affogare.
Ora ti direi, passandoti la bottiglia
di vino: amico, innamorati.
[È l’unico modo per vivere,
e tra i tanti il migliore per morire.
Innamorati di tutto, almeno
una volta.]

Ciliegia

Ciliegia

Ciliegia

Così parti di nuovo.
E io sento il tuo corpo
spostarsi, come un gatto
tra le foglie del giardino.
Stavolta ci scopriremo
lontani al ritorno
-tu parlerai e io ascolterò.


Quando le cicale
riprendono a cantare,
è tempo di chiudere le finestre
e starsene sdraiati ad affogare
nel caldo. Alla sera
riempio di tabacco
la pipa e lo lascio bruciare.

Così parti di nuovo.
E io sento il tuo corpo
spostarsi, come un gatto
tra le foglie del giardino.
Stavolta ci scopriremo
lontani al ritorno
-tu parlerai e io ascolterò.


Quando le cicale
riprendono a cantare,
è tempo di chiudere le finestre
e starsene sdraiati ad affogare
nel caldo. Alla sera
riempio di tabacco
la pipa e lo lascio bruciare.
(Oggetti tuoi che possiedo
col senso di temporaneità
di un primo premio). Aspetto
che tra gli sbuffi esca fuori tu,
lo capirei dal profumo.

Il figlio della ex

Il figlio della ex

Il figlio della ex

Sai vita, io lo capisco
perché ti rubi pezzi di cervello.
A starci più di una decina d’anni
al mondo, verrebbe da strapparsi
gli occhi e le orecchie. Invece se ne
vanno barlumi di lucidità.
-Ripetono le cose, ostinati
ché il passato sedimenta nel flusso
come calcare dall’acqua.
Piuttosto che cadere increduli
ai mille e mille scherzi tuoi

Sai vita, io lo capisco
perché ti rubi pezzi di cervello.
A starci più di una decina d’anni
al mondo, verrebbe da strapparsi
gli occhi e le orecchie. Invece se ne
vanno barlumi di lucidità.
-Ripetono le cose, ostinati
ché il passato sedimenta nel flusso
come calcare dall’acqua.
Piuttosto che cadere increduli
ai mille e mille scherzi tuoi
vita, facciamo finta di stupirci
giusto per tenere l’equilibrio.
Ché sarebbe da inginocchiarsi,
buttare queste facce rovinate
tra le mani distrutte
e piangersi fino all’ultimo bicchiere
il sozzo cuore.

Versione integrale

Il figlio della ex

Il figlio della ex

Correre chilometri
non riconoscersi più.
Soffocare tra i
rami di troppi cipressi.
Svegliarsi di colpo
sepolti sotto strati
di terra insanguinata.
Guardare uno specchio
finto, un’immagine
gelata di anni fa.
L’aiuto non viene dall’alto
non c’è riparo
il sole violento oscura
le statue e le colonne
l’acqua nella fontana gela
di colpo cala il 

Correre chilometri
non riconoscersi più.
Soffocare tra i
rami di troppi cipressi.
Svegliarsi di colpo
sepolti sotto strati
di terra insanguinata.
Guardare uno specchio
finto, un’immagine
gelata di anni fa.
L’aiuto non viene dall’alto
non c’è riparo
il sole violento oscura
le statue e le colonne
l’acqua nella fontana gela
di colpo cala il silenzio.


Ascoltare di nuovo urlare
voci da dentro
peggiori anatemi.
Lascerò che respiriate
ma dovete piantarla.
Non starò nuovamente
seduto all’inferno
attendendo una chiamata,
col numero in mano
in sala d’attesa.
Quel poco di luce
che ho conquistato
è mia. Mi appartiene.

Una resa

Il figlio della ex

Tapparelle abbassate, un jazz lontano, febbricola, un 24 novembre a Perth

Basta scusarsi.
Troveremo altri petali
oltre gli arbusti seccati.
Guardavamo lontano, vedevamo noi stessi
perché ora tossisco senz’aria?
Scusarsi non serve.
Ostinati, vedremo altre albe
e altre notti.
Sentiremo di nuovo il terrore
di sapersi lontani,
il freddo notturno dei cieli.
Io sento
soltanto
l’odore dei miei fallimenti.

Tapparelle abbassate, un jazz lontano, febbricola, un 24 novembre a Perth

Tapparelle abbassate, un jazz lontano, febbricola, un 24 novembre a Perth

Tapparelle abbassate, un jazz lontano, febbricola, un 24 novembre a Perth

L’assenza di lei scava
paziente nei muri di carta
-avesse da sudare
poi molto, frugandovi oltre [dentro].
Curvando la testa, si
cambia di un poco, malgrado
neanche abbastanza,
il punto di vista. Al diavolo,
che la miglior poesia
è quella che non fa rumore.

Bugiardino

Tapparelle abbassate, un jazz lontano, febbricola, un 24 novembre a Perth

Preferenze pacificatrici

Considerami come
se non fossi più io:
ho perso quasi ogni cosa
di me, se ci penso
non trovo che sabbia.
La stessa che vedevo
cadere dal foro del tempo
che ora è la sola realtà.
Non ho un obiettivo
se non quello di essere
attraversato dagli sguardi altrui
come un vetro
-bruciare in montagna tra gli
antichi sassi.
Ho scoperto che oltre le m

Considerami come
se non fossi più io:
ho perso quasi ogni cosa
di me, se ci penso
non trovo che sabbia.
La stessa che vedevo
cadere dal foro del tempo
che ora è la sola realtà.
Non ho un obiettivo
se non quello di essere
attraversato dagli sguardi altrui
come un vetro
-bruciare in montagna tra gli
antichi sassi.
Ho scoperto che oltre le mura
non c’è nessuna forza
nessuna mano tesa
ad afferrare.
Ognuno piange il calore degli altri,
non io che
ho fredde le mani.
Lasciami, dunque, di schiena
al cielo selvaggio.
È ora che veda anche tu –anche io
muoversi la vita, vicina
al metro più piccolo, dove
il culto è cieco
a tutto ciò che lento
cammina sopra la testa.
Questo mosaico avrà una
tessera mancante –e sarò io
che tra le altre nemmeno avrei posto.
Tu cerchi dove io posai e distolsi
rapido lo sguardo inquieto.
Capisco che tu sai cosa cercare,
allora non piangere
per me che non so fare altro
che scappare,
alzare i piedi da dove la terra
si apre e si fa più calda.
Stringerebbero ora le braccia altrui
nient’altro che apatico vetro.

Preferenze pacificatrici

Tapparelle abbassate, un jazz lontano, febbricola, un 24 novembre a Perth

Preferenze pacificatrici

Siamo uccelli in trappola
e l’inverno ci coglierà senza scampo.
Taglierà i cieli, e ne farà bende.
Piuttosto che alla salubre indifferenza
ci si piega ai getti sonori-
non fare un cazzo,
per non avere nulla da raccontare.

M. Gennaro

La sacerdotessa

La sacerdotessa

Da soli nella foresta
la cosa che più spaventa
non è il buio costante
ma l’improvvisa luce.

La sacerdotessa

La sacerdotessa

La sacerdotessa

Un soffio tenue
di vento, è la sua mano
che carezza solchi d’empietà.
Se il tocco bastasse a guarire
non di meno sarebbe che una
santa. Eppure c’è chi
crede che la pelle chiara
e il viso cristallino
non siano carne mortale
ma di dea.


Bastasse lo sguardo appuntito
a salassare ogni cuore petroso.
In città c’è chi scanna
vitelli, ma non vers

Un soffio tenue
di vento, è la sua mano
che carezza solchi d’empietà.
Se il tocco bastasse a guarire
non di meno sarebbe che una
santa. Eppure c’è chi
crede che la pelle chiara
e il viso cristallino
non siano carne mortale
ma di dea.


Bastasse lo sguardo appuntito
a salassare ogni cuore petroso.
In città c’è chi scanna
vitelli, ma non verso lei
che non è una dea. Lei
non è altro che un tramite
-è quello che dice, tendendo la
candida mano alla luna.
Ma l’uomo il cui sguardo
fugge agli dèi, ha visto
che sotto la tunica bianca
ha corpo di dea. E non
crede alla sacerdotessa
che cauta ripone la lama
e le anfore, e canta
preghiere di sale alle stelle.
Sa che sotto la voce tremante
e la tunica bianca
si cela una dea.

Il cacciatore

La sacerdotessa

Il cacciatore

Un dì finirà la caccia.
Le bestie continueranno a nascondersi
ma senza più spari.
L’attesa del fucile strapperà
ancora gocce di sudore.
Ma ci sarà il silenzio.
La caccia finisce ogni volta
al colpo dell’arma
che fende il silenzio.


I volti che taglian la quiete
spezzandone i fili
non sono che ombre
tenendo i fucili.
Domani, o più tardi,
sar

Un dì finirà la caccia.
Le bestie continueranno a nascondersi
ma senza più spari.
L’attesa del fucile strapperà
ancora gocce di sudore.
Ma ci sarà il silenzio.
La caccia finisce ogni volta
al colpo dell’arma
che fende il silenzio.


I volti che taglian la quiete
spezzandone i fili
non sono che ombre
tenendo i fucili.
Domani, o più tardi,
saranno ancora altri umani;
per sempre nell’ombra
dei loro fucili
che fendono l’aria
uccidendo l’attesa e il silenzio.
Si muore ogni volta, sul colpo.
Fa male di più al cacciatore
vedere cadere la bestia.
La tempia è solcata
da altro sudore,
l’ennesima goccia. È morta
l’attesa. Con lei muore
pure ogni cosa.

L'alchimista

Tracciato piatto

Il cacciatore

Alzò gli occhi dal foglio, lo vide.
Il fardello che ogni creatura
trascina nel fango, alle caviglie,
senza che l’occhio possa posarsi
e vedere. Pure capì in quell’istante
che vivere non è che svegliarsi.


Il male è il legame di tutte le cose,
realizzò. Ignorato dai più,
come rose imperfette.
Come uno che non voglia vedere
per paura di avere

Alzò gli occhi dal foglio, lo vide.
Il fardello che ogni creatura
trascina nel fango, alle caviglie,
senza che l’occhio possa posarsi
e vedere. Pure capì in quell’istante
che vivere non è che svegliarsi.


Il male è il legame di tutte le cose,
realizzò. Ignorato dai più,
come rose imperfette.
Come uno che non voglia vedere
per paura di avere
lo sguardo infettato dal brutto.
 

Volendo cercare, sarebbe
da scegliere il Male all’inizio
ch’è semplice pur da trovare.
È facile e in tutte le cose
ve n’è in abbondanza.
Ma nulla di più, che mai cambia.

Il contadino

Tracciato piatto

Tracciato piatto

Passarono stagioni
a volte silenziose, a volte no
passarono lasciando segni lievi
sulla carne. Ma si sa, i solchi ad ogni colpo
della zappa si fan grandi.
Passò in verità soltanto un istante,
anche se frammentato in anni
stagioni e sere.
E il tempo, come uno strozzino,
chiedeva tutto ciò che non poteva avere.
Ciascuno non ha molto altro d

Passarono stagioni
a volte silenziose, a volte no
passarono lasciando segni lievi
sulla carne. Ma si sa, i solchi ad ogni colpo
della zappa si fan grandi.
Passò in verità soltanto un istante,
anche se frammentato in anni
stagioni e sere.
E il tempo, come uno strozzino,
chiedeva tutto ciò che non poteva avere.
Ciascuno non ha molto altro da pagare
che una misera, spoglia vita
rubata –pure quella!
da un dove senza nome.
Ma l’uomo curvo senza tempo
di debiti mai ne volle; e pure quello
che nessuno sa pagare,
trovò il modo di estinguerlo.
 

Pagò una vita
e in cambio ruppe il giogo
dell’eterno.

Tracciato piatto

Tracciato piatto

Tracciato piatto

Mi chiedo a che serve.
Servirebbe morire,
servirebbe a capire
che cos’è la vita.
Ho perso lungo il tragitto
ogni carta,
ma ora
mi sento leggero,
quasi che i fogli
pesassero un chilo ciascuno.
 

Ci credo ancora, Rebecca.
Non eran che sudici fogli,
le altre parole importanti
l’ho tutte qui, in testa.
Le guardi e non ridi
magari pesavan più a te?
Ma il tempo è clemente.
Svuota ogni cosa del peso.

L'attesa

:: cansancio de la civilización :: reiteración del concepto de lo demás

:: cansancio de la civilización :: reiteración del concepto de lo demás

Se l’occhio non sa ricordare, la mente
vacilla. Le volte che non sa vedere
rifugge ogni specchio: che pure
se non sa vedere, può sempre esser vista.
 

Le labbra non hanno spessore: eppure
in un tempo vicino –a un palmo di mano,
schiudevan parole pure, di seta.
Lo spirito inquieto vacilla.
 

Gli odori non hanno alcun peso:
meno dell’aria e d

Se l’occhio non sa ricordare, la mente
vacilla. Le volte che non sa vedere
rifugge ogni specchio: che pure
se non sa vedere, può sempre esser vista.
 

Le labbra non hanno spessore: eppure
in un tempo vicino –a un palmo di mano,
schiudevan parole pure, di seta.
Lo spirito inquieto vacilla.
 

Gli odori non hanno alcun peso:
meno dell’aria e dell’altre parole
leggere. Non pesano niente.
La mano, che cerca quel niente,
rimane sospesa. Non trema
e non ha direzione. Vacilla
anche il cuore, motore in catene,
che prova ingenuo a vedere
al posto degli occhi. Quel cuore
si tinge di rosso ogni volta,
lo sforzo lo fa sanguinare.
 

Le cose non hanno più senso.
Se tutte le volte che avessero un peso
e una forma venissero incise,
il senso verrebbe. Ma nulla è mai fisso.
Nessuno le incide, le cose,
son tutte in tempesta.
 

Tutto vacilla a momenti
e ritorna gelato. Né occhi
di specchi, né labbra di seta
lasciarono ad altri una traccia:
incauti, s’attende.

:: cansancio de la civilización :: reiteración del concepto de lo demás

:: cansancio de la civilización :: reiteración del concepto de lo demás

:: cansancio de la civilización :: reiteración del concepto de lo demás

Ella se tumbó.


Dormí entonces un sueño
amargo y obscuro
y larguísimo.


El hubris de los que averiguan
- sin méritos, sino apetito
sujetó su incuestionable necesidad
por el tiempo que servía
de consuelo.


Se tumbó.


Se despertó entonces de una
pesadilla agridulce de
certezas geométricas,
pero ya no en sus piernas.


El descrédito del que ve
la real

Ella se tumbó.


Dormí entonces un sueño
amargo y obscuro
y larguísimo.


El hubris de los que averiguan
- sin méritos, sino apetito
sujetó su incuestionable necesidad
por el tiempo que servía
de consuelo.


Se tumbó.


Se despertó entonces de una
pesadilla agridulce de
certezas geométricas,
pero ya no en sus piernas.


El descrédito del que ve
la realidad incorrecta
- y de eso se enorgullece
lo alejó demasiado de
la tierra dorada de antaño.


(Me tumbé.


Queda, de pesadillas
ajenas y ciertas
geometrías,
amargo el paso que
sigue.


El descrédito del que
averigua sin apetito
y no cuestiona el mérito
se acerca bastante
al consuelo pasado.)

Una verità

:: cansancio de la civilización :: reiteración del concepto de lo demás

Una verità

L’odio è l’amore più putrido e forte
che c’è. Tu guardi le foto degli altri
e l’invidi, pensando che quelli, in passato,
erano i giorni di te, e nessun altro.
Ma più che l’invidia, prevale lo sbigottimento.
 

Tu sei soltanto l’alieno straniero
che sente, ma non sa ascoltare.
Pure sei tu che riveli la luce
-l’altare alla porta del sonno.
Na

L’odio è l’amore più putrido e forte
che c’è. Tu guardi le foto degli altri
e l’invidi, pensando che quelli, in passato,
erano i giorni di te, e nessun altro.
Ma più che l’invidia, prevale lo sbigottimento.
 

Tu sei soltanto l’alieno straniero
che sente, ma non sa ascoltare.
Pure sei tu che riveli la luce
-l’altare alla porta del sonno.
Nasconditi senza capire.
 

La chiave è nell’occhio vermiglio,
che guizza sperduto tra i volti.
Comprendi: che
l’odio è l’amore più marcio ed oscuro.

Àncòra

Coscienze petrose

Una verità

Aspetto ancora. Sebbene tu non creda
più alla calma piatta che sempre si fa spazio nelle tempie,
io vedo ch’essa permea tutto ciò di cui ho sentore.
 

Still I fade. Again I dare, in this cold dead place
to find out the way, to reveal the play.
My piece of soul –I forsake you, only to taste the finding,
Forever lost and forever found.


Il pas

Aspetto ancora. Sebbene tu non creda
più alla calma piatta che sempre si fa spazio nelle tempie,
io vedo ch’essa permea tutto ciò di cui ho sentore.
 

Still I fade. Again I dare, in this cold dead place
to find out the way, to reveal the play.
My piece of soul –I forsake you, only to taste the finding,
Forever lost and forever found.


Il passo è morto -come chi suona sempre
la stessa canzone. Resto a guardare il sole -
il fuoco ha sapore amaro d’oceano,
oltre le colline e le valli, dove ritorna
un nome, come un’orma; ed esso chiamo,
con voce strozzata, la sola che ho.

Coscienze petrose

Coscienze petrose

Coscienze petrose

In questa rovina non vi riconosco più.
Le parole, un tempo di conforto
sotto le coltri tremanti della febbre,
ora sono suoni che rubano il mio tempo
che allo specchio mi ricorda
di non fermarmi a pensare
nemmeno per un attimo.
 

In questo giogo non vi riconosco più.
Alla gogna della verità
porgete caparbi le vostre teste
piene di inutile f

In questa rovina non vi riconosco più.
Le parole, un tempo di conforto
sotto le coltri tremanti della febbre,
ora sono suoni che rubano il mio tempo
che allo specchio mi ricorda
di non fermarmi a pensare
nemmeno per un attimo.
 

In questo giogo non vi riconosco più.
Alla gogna della verità
porgete caparbi le vostre teste
piene di inutile fogliame
senza fermarvi a pensare
nemmeno per un attimo.
 

In questa vita vi riconosco, ora
che è già tardi per cambiare la realtà.
Quando tutte le maschere sono infine cadute
e la luce del mezzogiorno rischiara
i volti tumefatti e inespressivi,
tutto ha un senso:
nati non foste a viver come bruti
-ma orgogliosamente lo diventaste.

Clepsamia

Coscienze petrose

Coscienze petrose

Molta sabbia scenderà nella clepsamia
prima che davvero l’altro bulbo sarà colmo.
Intanto ogni granello è un pezzo in meno,
una piuma persa in volo dall’astore.
È il volo che accompagna questi passi
non il certo scorrer delle ore;
percorrere un sentiero senza fine
-la strada che nessuno avrà esplorato,
come un’ombra sola nella nebbia
e co

Molta sabbia scenderà nella clepsamia
prima che davvero l’altro bulbo sarà colmo.
Intanto ogni granello è un pezzo in meno,
una piuma persa in volo dall’astore.
È il volo che accompagna questi passi
non il certo scorrer delle ore;
percorrere un sentiero senza fine
-la strada che nessuno avrà esplorato,
come un’ombra sola nella nebbia
e come tale sporadicamente interrotta
nel suo vagare
da presenze, concrete
quanto la sua essenza,
accorgersi della finzione delle apparizioni,
riprendere il cammino a testa bassa
-con una lacrima in più sopra la faccia.

Pseudonimi

Pseudonimi

Pseudonimi

C’è qualcosa fuori queste mura?
o posso solo camminare invano
ammalato di vita –e senza cura?
D’ora in avanti, camminerò più piano.

Colpa

Pseudonimi

Pseudonimi

Arrivasti ad Aprile
ma il cuor mio era ancora in inverno.
Accolta con scherno, tenuta dal braccio
con la curiosità di un bimbo che si spinge per campi
-ed eri già ovunque quando i rami mordevano la terra.
Il nome tuo mi risuona d’una memoria,
un letto, un fiume, una fissa dimora
che accolga le tormentate membra.
 

Finirà il mio inverno,
sfiorirà la tua primavera
in uno splendore estivo.

Giurati

Pseudonimi

Autoritratto

Spiegatemi, dunque,
questa eterna catarsi.
Ché sembra sempre
esterna e lontana
dai passi miei.
Sfuggono
i palazzi, i rami arsi,
non v’è differenza alcuna
tra i sassi e la bruma sottile.
Ogni colpo sembra l’ultimo
ed invece senza un singulto
quest’agonia ruba
fiato alla mia rabbia.
Il fondale resta impossibile
da toccare,
un orizzonte oscu

Spiegatemi, dunque,
questa eterna catarsi.
Ché sembra sempre
esterna e lontana
dai passi miei.
Sfuggono
i palazzi, i rami arsi,
non v’è differenza alcuna
tra i sassi e la bruma sottile.
Ogni colpo sembra l’ultimo
ed invece senza un singulto
quest’agonia ruba
fiato alla mia rabbia.
Il fondale resta impossibile
da toccare,
un orizzonte oscuro
in cui affondare
senza attraversare spazio alcuno,
rimanendo a galleggiare
in un non-luogo che
continua ad allontanare
tutto e niente.

Autoritratto

Autoritratto

Autoritratto

Sconsolato di vedere volti familiari
consolatori
disgregarsi sopra altari
con profili inquisitori.
Se avessi un amo con cui pescare
in questo mare di cemento e mattoni
sarei un pescatore da ammirare,
l’unica vedetta sui bastioni.
 

Invece sono una boa dispersa
in mare, con l’unico filo sottile che si perde
e rimane come una promessa
che ne

Sconsolato di vedere volti familiari
consolatori
disgregarsi sopra altari
con profili inquisitori.
Se avessi un amo con cui pescare
in questo mare di cemento e mattoni
sarei un pescatore da ammirare,
l’unica vedetta sui bastioni.
 

Invece sono una boa dispersa
in mare, con l’unico filo sottile che si perde
e rimane come una promessa
che nella mente vacillante
ancora arde.
 

E sono tutti nascondigli stupidi
-figli anonimi
di bisogni putridi.
Il volto sciolto grida ancora “Amami!”
ma le mani –queste mani-
tremano, annaspando tra i domani.
 

Resta qualcosa, suoni impersonali,
giuramenti ricorrenti,
grida surreali,
Le catene sottili sono inossidabili:
la prigionia d’un macigno con le ali.

Erica

Autoritratto

Bellano

Adesso che tutti
i rimbombi di tuono
han cessato, che tutte
le grida e le smorfie non
sono che pece tra
gli assi, ti scruto senza
altre finzioni. Senza stupide
maschere, intendo, senza
farmi fregare. E ti giuro
che nulla è cambiato.
Ti osservo tra gli assi che
tu non hai ancora saldato.


Penso al tuffo – il mini
attacco di cuore – che
togl

Adesso che tutti
i rimbombi di tuono
han cessato, che tutte
le grida e le smorfie non
sono che pece tra
gli assi, ti scruto senza
altre finzioni. Senza stupide
maschere, intendo, senza
farmi fregare. E ti giuro
che nulla è cambiato.
Ti osservo tra gli assi che
tu non hai ancora saldato.


Penso al tuffo – il mini
attacco di cuore – che
toglie il respiro,
nell’atto casuale
di svelare il già noto.
Di provar la teoria
come giusta (la teoria,
quella brutta).
Un tuffo nel mare a
gennaio (o circa in
qualunque momento,
in Islanda), avvolto
soltanto nella mia
nudità, mentre rapido
fugge il calore in
un mare di gelo.


Accettare quel senso di
vuoto (la vertigine
improvvisa, come quando
mi hanno fottuto
il portafoglio dalla tasca)
è il più nobile realismo.
Giammai fingerò nuovamente
che il vuoto sia
propedeutico per
altri più alti segnali.
È fine a sé stesso, come
Cage, la sua musica.


Hai scelto che fosse
eterna l’estate? D’accordo,
eccomi dentro
al mio inverno infinito.
Non è il modo giusto
di affrontare le cose,
mi hai detto. Lo sai tu,
mentre spalmi la pece
tra gli assi. Da dentro la
bara, a braccia conserte,
impaziente io attendo
che mi butti giù a mare.
Di scalpitare, perdona,
non ne ho proprio
voglia. Se dovessi,
sceglierei la tua mano
per sempre, la mano che
spalma la pece, ma mai
la mia a cercare rapida
il polso, a toccare con
un paio di dita la pelle
degli altri o la mia.


Dicevo, sì, accettare quel
vuoto. Di pece la spatola
ancora hai spalmato
su un altro spiraglio
- raixera da dentro
la cassa, pare camera tua -
accettarlo e masticarne
il sapore, per non farsi
masticare. All’ombra del
tuo eterno mezzogiorno
puoi solo vagamente
apprezzarne la portata
abissale, la leggerezza
totale. Userei mille volte
l’ossigeno (poco) rimasto
per provare a spiegartelo
ancora, se volessi ascoltare.


Poco male, mi dico, pensando
a quel tuffo nell’acqua glaciale.
Per caso, mi dico, qualcuno
suggeriva le mosse? Ti spiegava
il da farsi? No di certo. Ero io
e nessun altro, con un mare davanti
e infinite montagne alle spalle.
Chiaro che passasse in secondo piano
ogni altro dettaglio. Non provo a
giustificarmi, provo solo a stirare
un istante oltre tutti i suoi
istanti ed offrirtene un succo.
Sono inerme, puoi letteralmente
finire di chiudermi dentro una bara
e poi sbattermi a mare, senza
ch’io batta ciglio.


Vorrei essere certo di essere io
che scappavo, che partivo
lontano da te, o aver solo acchiappato
(come fosse poi meno!) un consiglio,
diciamo, la soffiata di levare le tende.
Un evaso, o un perseguitato.
O un tiranno, o un malato.
Realistico aspettarsi una parte di
tutti, oltre che i tuoi sbuffi
mentre scarichi una cassa pesante
di cui non ricordi, o hai rimosso,
il contenuto, oltre il parapetto
dello scafo. Ammiro la maniera
con cui hai saputo salpare
cautamente, nel mare, e mano a mano
imparare a navigare. Quelli come me
(se di specie si tratta, e non di
abomini) imparano a nuotare
buttandosi a mare, o affogandoci.
O ancora galleggiano a lungo
come stronzi sulla superficie
dentro bare di legno, prima di
affondare. Ma è bello, in realtà
sembra quasi una culla.


Vorrei solo sparire
sapendo di non
perdermi nulla.

Bellano

Autoritratto

Bellano

Ho conosciuto di nuovo

l'odore che ha la tua pelle. Ricordo

essermici soffermato già a lungo,

eppure la memoria di ciò che succede

una volta - e poi altre, lontane -

è sempre più tenue per me. (Risolvo

enigmi infantili, di quando del mondo

distinguevo soltanto i contorni) Mi sa che

non basta più progettarmi nell'oggi..

Sarà il crescere, sarà pure

i

Ho conosciuto di nuovo

l'odore che ha la tua pelle. Ricordo

essermici soffermato già a lungo,

eppure la memoria di ciò che succede

una volta - e poi altre, lontane -

è sempre più tenue per me. (Risolvo

enigmi infantili, di quando del mondo

distinguevo soltanto i contorni) Mi sa che

non basta più progettarmi nell'oggi..

Sarà il crescere, sarà pure

invecchiare; ma serve adesso, a questa

molliccia contorta mente, di figurarsi

negli strepiti del domani, darsi forma

almeno per un giorno tangibile. Già prima

questo fatto afferrato così, di riflesso,

cocente e appuntito, m'avrebbe scagliato

lontano nel buio dell'abisso, m'avrebbe 

additato e sospinto lontano dagli altri.


E invece: oggi sorridevo, stanotte

intendo, stamattina, pensando alla gioia

di averti - non tutta, non tutta

insieme, ma poco alla volta,

per caso, tra le anse che l'acqua 

formerà per sempre nel corso gelato

che dall'Orrido arriva al Lago.

M'importa una sega che i flutti improvvisi

mi spaventeranno, scoprendomi stronzo

con sgradevoli scherzi: non sempre

camminerò mano nella mano con alcunché.


Oggi, stanotte intendo, anzi stamane,

t'avrei dato un ultimo bacio, uno

soltanto, ma proprio l'ultimo, e t'avrei detto:

io lo so che ogni cosa, presa fuori

dal solo edonismo, non significa nulla

[Frank N. Further di quel film

che hai insistito vedessimo mi risuona

nel retro del cranio: ho adorato quel film

che ho guardato attraverso di te,

con una mano sulla tua coscia

e l'altra sospesa sul nulla], ma proprio

nulla. Se io fossi un furetto,

o un delfino, o che cazzo ne so, questo assunto

sarebbe abbastanza per scrollare le spalle

e viverci dentro. Ma non sono un furetto,

o un delfino, o che cazzo ne so: preferisco,

per cui, liberarmi dell'assunto suddetto

e pensare che pure se niente ha alcun senso

vada bene così. Preferisco aspettarmi

di ritrovarti tra le anse - le cosce

del corso gelato che passando per l'Orrido

arriva al Lago (che poi: come si chiama

non l'ho mica imparato). Preferisco aspettarti:

tra un anno, o quanto sarà, nell'oscurità

ci guarderemo di nuovo negli occhi, ci penserò

ancora un po' (meno che oggi, voglio dire

stanotte, ovvero stamane) poi goffamente,

di scatto, mi metterò a sedere

più vicino al tuo letto (respireremo

lo stesso volume d'aria, santo dio spero

davvero che non mi puzzi l'alito)

e vorrò ancora riempirti di baci, strappare

all'oceano dei Mai qualche pezzo di Forse;

ma invece di offendermi e credere

che einmal ist keinmal, riderò sollevato

accorgendomi che einmal ist keinmal.

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